Il padiglione d'oro

… è sempre un qualche meraviglioso silenzio che porge alla vita il minuscolo o enorme boato di ciò che poi diventerà inamovibile ricordo … (A. Baricco)

Marie Taglioni e la nascita del balletto romantico

Ritratto di Marie Taglioni

Marie Taglioni, colei nel cui nome si identifica la nascita del balletto romantico, considerata da molti la più grande ballerina del XIX secolo nonché creatrice (insieme al padre) del cosiddetto ‘atto bianco’, nasce a Stoccolma da padre italiano, Filippo Taglioni, anch’egli ballerino e maître de ballet al Teatro di Stoccolma, e madre svedese, Sophie Karsten, pittrice e ballerina del Balletto Reale Svedese.
Si trasferisce con la madre a Parigi per studiare danza con Jean-François Coulon.
Lei stessa ricorda così quei momenti: «Quando ho iniziato a ballare ero abbastanza pigra. Mia madre non poteva sempre accompagnarmi così andavo da sola alla mia lezione e spesso non andavo…quando mia madre suonava l’arpa io ballavo e mimavo. Le mie ispirazioni sono venute dal sentimento della musica, e questa sensazione è sempre rimasta con me, mi ha aiutato molto a variare la mia danza».
Intorno al 1820 il padre riesce ad ottenere per la figlia una scrittura come première danseuse presso il Teatro di Vienna.
Marie sa però di non essere all’altezza di tale incarico. Infatti nelle sue memorie scrive «Mio padre ci aveva scritto di aver appena firmato per me un contratto come prima ballerina al Teatro Imperiale di Vienna. Mia madre a questa notizia era elettrizzata. Io ero costernata. Sapevo perfettamente che non ero nella posizione di prendere il posto di prima ballerina».
E presto se ne renderà conto anche suo padre.
Nonostante Marie abbia fatto molti progressi, infatti, non è ancora all’altezza di ricoprire quel ruolo, così suo padre la sottopone a ore e ore di lezioni massacranti.
Finalmente nel 1822 debutta all’Hoftheatre su una coreografia del padre e l’esibizione le vale un contratto di due anni.
Durante questo periodo assiste allo spettacolo della Brugnoli che, nella città austriaca, porta un’innovativa tecnica di danza sulle punte tanto in auge in quel periodo come virtuosismo.
Marie e, ancor più, suo padre intuiscono la potenzialità di questa tecnica, se usata come tecnica base, punto di forza dell’espressività e dell’interpretazione.
Nel 1827 debutta all’Opéra di Parigi con notevole successo in Le sicilien di Monsieur Anatole che le varrà poi, nel 1829, la nomina a première sujet (solista).
Nel 1830 si esibisce assieme a Jules Perrot in un pas des deux di Pierre Gardel nel Fernando Cortez.
Sempre con Perrot, la Taglioni sarà in scena nello stesso anno anche al Covent Garden di Londra in Flore et Zéphire di Charles Didelot.
Grandi successi ai quali manca ancora però il più grande, quello con cui Marie verrà identificata e ricordata.
L’anno successivo ecco il Ballet des nonnes su coreografia di Filippo Taglioni, inserito nell’opera Robert le diable di Meyerbeer, dove Marie interpreta la protagonista, la badessa Helena.
Grande successo per questo balletto, che la vede protagonista eterea in una sorta di anteprima dell”atto bianco’, che seguirà di lì a un anno.
La particolarità del Ballet des nonnes è quella di essere un vero e proprio balletto, parte integrante della storia, e non più solo un semplice divertissement.
Eccoci quindi arrivati nel 1832, anno in cui Marie si esibisce ne La Sylphide – coreografia di Taglioni e musica di Jean Schneitzhoeffer.
Questo balletto rappresenta davvero una svolta nella storia della danza.

Marie Taglioni, La sylphide

Lo strano mondo in cui è ambientato, fatto di luci, ombre, nebbie, sogni, un mondo fantastico, evanescente, in cui il tutù, il bianco, la purezza, la levità ne sono i segni distintivi.
Come scriveva Theophile Gautier su “La Presse” nel 1844 «Questo nuovo genere portò con sé un grande abuso di organza bianca, di tulle e di tarlatana; le ombre si valorizzano grazie a gonne trasparenti. Il bianco fu quasi l’unico colore usato».
Ed è da questi elementi che nasce la definizione di ‘atto bianco’.
Ma è la Taglioni a rendere visibile e concreto questo mondo fantastico, perché grazie alla sua fisicità e al suo stile così innovativo, anche se sempre nell’ambito della tecnica classico-accademica, riesce a trasformare, come scrisse Charles De Boigne, «la danza in arte, prima della Taglioni solo un mestiere, quello di saltare il più in alto possibile e di piroettare come una trottola».
Le novità stilistico-interpretative apportate da Marie nell’arte coreutica sono di tale portata da scatenare nella stampa un’inconsapevole gara nel trovare la giusta definizione, la frase più ad effetto, la descrizione più strana e ricercata, il parallelismo più stravagante.
E così ecco che nei resoconti di quegli anni si possono leggere frasi e definizioni del tipo «Lascio ai poeti del feuilleton la responsabilità di descrivervi questa danza sconosciuta, questa gioia dolce e malinconica, questa casta passione, questo volo di rondine sulla superficie di un lago, questi salti di gazzella, questa fuga rapida ed imprevista come quella di una freccia che attraversa all’improvviso la radura di un bosco…» (Hector Berlioz “Journal des débats”), oppure «Chiedetevi quello che avete messo a fuoco nella sua danza e dapprima non si presenterà alla vostra mente nient’altro che una grazia inesprimibile, una perfezione talmente ideale che sarete obbligati a fare uno sforzo per analizzare i dettagli. Nella danza di M.lle Elssler, al contrario, direte immediatamente e senza cercare…. Questa facilità a dettagliare i meriti della sua arte prova, a mio avviso, quanto la sua arte sia limitata» (Gino Tani “Journal des débats”), o ancora «È uno dei più grandi poeti della nostra epoca; ha capito magnificamente il lato ideale della sua arte. Non è una danzatrice, è la danza stessa» (Théophile Gautier “La Presse”).
E fra le tante altre definizioni che furono usate per descrivere lei e la sua danza c’era anche «…vedere l’invisibile diventare visibile».
Come è possibile?
Secondo Elena Cervellati, nel suo saggio pubblicato negli atti del convegno “La meraviglia e la paura. Il fantastico teatro europeo”, svoltosi a Verona nel marzo 2011, l’artista danzando mostra il suo corpo e quel segreto che ciascuno di noi custodisce dentro di sé. Lo spettatore che, seduto in sala, guarda e ammira quel corpo danzare è un po’ come se danzasse anche lui, come se il suo corpo si sovrapponesse a quello del ballerino fino a coincidergli, rimanendo però sempre se stesso.
Qui sta dunque il segreto di questa empatia visiva che all’epoca della Taglioni permise al pubblico che la guardava di vivere ed errare insieme a lei in questi mondi immaterici ma resi così dannatamente veri dalla sua arte, da quella capacità di rendere visibile l’invisibile, e possibile l’impossibile.
Uno degli elementi che ha caratterizzato la Taglioni è stato anche il particolare uso dei piedi del quale si fece principale promotrice usando, tra le prime, delle scarpette di raso con la punta rinforzata, legate alle caviglie con dei nastri.

Le prime scarpette cone le punte di Marie Taglioni

I piedi sono fonte di spinta per l’elevazione, la parte del corpo forse più importante nella danza accademica, un elemento apparentemente periferico ma al contrario fulcro di tutto.
I piedi sono l’unico elemento costantemente a contatto con il palcoscenico, da cui traggono quell’energia, quella spinta che permette a tutti i ballerini, e in particolar modo alle ballerine, di essere così dinamiche, leggiadre, quasi fluttuanti.
Appare quindi chiaro che in quella battaglia all’ultima “virgola” combattuta tra giornalisti e saggisti dell’epoca non potessero mancare menzioni speciali per i piedi della Taglioni.
«Si posa senza svegliare un elfo» – scrisse Elise Talbot o ancora «…sospesa al pollice del suo piede, tranquilla come una regina seduta sul suo trono di velluto» (Bermani “Figurino della moda”).
Marie nello stesso anno (1832) si esibisce sempre nella Sylphide anche a Londra al Covent Garden, con lo stesso eclatante successo.
Tornata a Parigi, si esibirà ancora per alcuni anni in altri balletti non ottenendo, però, la stessa acclamazione di pubblico e critica ottenuta con la Sylphide.
L’insuccesso nel 1835 del balletto Brézilla ou la tribù des femmes – coreografia di Filippo Taglioni – seguito poi nell’anno successivo dal dissenso della critica sulla sua esibizione in La figlia del Danubio – coreografia sempre di Filippo Taglioni – portano Marie, vista anche l’imminente scadenza contrattuale, ad abbandonare l’Opéra e trasferirsi a San Pietroburgo al Teatro Bolshoi dove si esibirà in tutti i suoi più grandi successi oltre che in nuove coreografie come L’Ombre, in cui è da citare il Pas de l’Ombre dove la protagonista tenta invano di afferrare la propria ombra, Miranda su musica di Auber e di Rossini e ancora la Gitana, in cui compare la cachuca, danza tipica, che vede protagonista una Marie fuori dagli schemi, fino ad arrivare a Gerta Regina degli Elfridi, suo addio alle scene al Bolshoi nel 1842.

Marie Taglioni, La gitana

Nel 1845 a Londra, all’età di 41 anni, si esibisce al Her Majesty’s Theatre nel famoso Pas de quatre – coreografia di Jules Perrot e musica di Cesare Pugni – insieme alle colleghe Fanny Cerrito, Carlotta Crisi e Lucile Grahn.

Il pas de quatre di Londra

Infine due anni dopo, nel 1847, sarà in scena per l’ultima volta ne Le jugement de Paris – coreografia di Jules Perrot e musica di Cesare Pugni – con Arthur Saint-Léon e di nuovo Fanny Cerrito e Lucile Grahn.
Marie dopo questo ultimo spettacolo si ritira nella villa di famiglia sul Lago di Como.
Ma ecco che nel 1860 la ritroviamo di nuovo a Parigi nelle vesti questa volta di coreografa per il balletto Papillon – musica di Offenbach – la cui protagonista è Emma Livry.
Dopo questa esperienza la Taglioni svolgerà per ben dieci anni il ruolo di “inspectrice des classes et du service de la danse” al Teatro dell’Opéra, dove istituirà un metodo di esami ancora oggi in vigore.
Un dissesto finanziario la porterà a Londra, dove farà l’insegnante di danza, e poi a Marsiglia per gli ultimi anni della sua vita.
Muore così nel 1884 Marie Taglioni, colei che insieme al padre ha creato il balletto romantico e trasformato la danza in arte.
In lei, più di tutto, colpiva la naturalezza con cui danzava, l'”essere” normale che era in lei conviveva, sul palcoscenico, con il divino diventando visibile, tramite il suo corpo, solo all’anima di colui che, come diceva Platone nel suo Fedro, grazie alla reminiscenza di vite precedenti «…alla vista della bellezza terrena, riandando col ricordo alla bellezza vera, metta le ali, e di nuovo pennuto e agognante di volare, ma impotente a farlo, come un uccello fissi l’altezza e trascuri le cose terrene… Ma non per tutte le anime è agevole, partendo dalle cose terrene, far affiorare nella memoria… quella bellezza che splendeva di vera luce lassù fra quelle essenze, e anche dopo la nostra discesa quaggiù l’abbiamo afferrata con il più luminoso dei nostri sensi permessi al nostro corpo…la vista, perché solo la bellezza, … sortì questo privilegio di essere la più percepibile dai sensi e la più amabile di tutte…chi abbia goduto di lunga visione lassù, quando scorga un volto d’apparenza divina, o una qualche forma corporea che ben riproduca la bellezza…la venera come divina”.
Questo è la danza e questo, dopo aver letto molti dei resoconti scritti sulle sue esibizioni, doveva essere Marie Taglioni.

> Eleonora Bartalesi <

Statua di Marie Taglioni di Cincinnato Baruzzi ne La sylphide (Bologna)

Bibliografia

Incorporare il fantastico: Marie Taglioni – di Elena Cervellati (saggio dal convegno “La meraviglia e la paura. Il fantastico nel teatro europeo” – Verona 10-11marzo 2011)
• Enciclopedia delle donne – biografie
Mémoires – Marie Taglioni manuscrit autographe – Bibliothéque-Musée de L’Opéra de Paris
Maria Taglioni in veste di Silfide – Storia e Memoria di Bologna

3 commenti su “Marie Taglioni e la nascita del balletto romantico

  1. Neda
    ottobre 14, 2018

    Mi hai fatto venire in mente la mia bisnonna quando ha visto, per la prima volta, un balletto classico: ” Ma perché non le prendono più alte invece di obbligarle a stare in punta di piedi?” Mia madre cercò di spiegarle la faccenda, ma lei restò della sua opinione.
    Del resto non concepiva nemmeno l’idea che 22 uomini in “mutande” corressero dietro a una palla.
    E’ morta quando avevo già 10 anni e le sue “perle” le ricordo ancora.

    Piace a 1 persona

    • ilpadiglionedoro
      ottobre 17, 2018

      Cara Neda, che bello questo ricordo. Le “perle” dei nonni si tramandano dai figli, ai nipoti ai pronipoti e non si dimenticano mai. Un abbraccio 🙂

      Piace a 1 persona

      • Neda
        ottobre 18, 2018

        Pensa che quando ci fu il primo sbarco sulla luna, mia nonna (la bisnonna era già morta) stette a guardarsi tutta la telecronaca. Alla fine disse che, secondo lei, era un filmato come quello che aveva visto sui dinosauri e non credette mai che invece fosse vero.

        Piace a 1 persona

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